RANDAGISMO IN ITALIA
“In Italia per regolare il randagismo è in vigore la Legge 14 agosto 1991, n.281: I cani vaganti ritrovati, catturati o comunque ricoverati presso le strutture non possono essere soppressi e non possono essere destinati alla sperimentazione.
Nel 1991 la legge quadro 281 ha vietato la soppressione di cani e gatti e la loro destinazione alla vivisezione, imponendo ai Comuni di finanziare il mantenimento dei randagi nei canili e promuovendo la sterilizzazione delle femmine.
Se la legge fosse stata correttamente applicata, si sarebbe dovuto assistere a un ridimensionamento del randagismo, invece si calcola che gli animali vaganti ammontino a circa 600.000 cani e a due milioni di gatti.
Nel Nord Italia la sterilizzazione si applica ma non al Sud, dove i costi per i comuni sono aumentati e la gestione dei cani è diventata un business di cui approfittano le associazioni mafiose, che hanno fiutato la possibilità di guadagno.
Sterilizzare non è conveniente quanto la manipolazione del sovraffollamento per lucrare il sussidio del comune o il trasferimento dei cani al Nord, dove le adozioni e le sterilizzazioni aumentano la disponibilità dei canili.
Lo “staffettista” è diventata una professione: ci sono persone, spesso appoggiate ad associazioni onlus, che effettuano viaggi, soprattutto dalla Sicilia, trasportando gli animali in condizioni di disagio, in gabbie troppo piccole, per periodi superiori alle ventiquattro ore, non sempre con la possibilità di bere.
Alcuni di loro muoiono durante il viaggio, altri finiscono in canili in cui si dichiara che gli animali sono stati rinvenuti in loco per guadagnare sulla diaria di mantenimento.
I prezzi dei viaggi spesso sono pagati in nero. Alcuni comuni siciliani sborsano dai cento ai quattrocento euro per ogni animale trasferito. Mantenerli per un anno costerebbe di più.
Il randagismo in Sicilia è una piaga sociale e i vigili ormai non intervengono quando sono segnalati animali vaganti perché i canili sono pieni.
Le cronache segnalano episodi terribili di violenze a danno di randagi indifesi, con cani torturati, impiccati, come i levieri spagnoli uccisi a bastonate o trascinati dietro alle auto fino a staccargli la pelle o gatti usati come torce per appiccare fuoco a terreni boscosi che si vuol rendere edificabili.
Spesso sono solo i volontari che intervengono per aiutarli ma altri soggetti, che vedono nell’animale solo una fonte di guadagno, si infiltrano approfittando della loro fatica e gettando discredito su chi agisce correttamente.
Al Nord la popolazione canina è stabilizzata e nei canili si trovano perlopiù animali anziani: i cuccioli portati dal Sud costituiscono un business oppure, forse, proseguono il viaggio all’estero, verso i laboratori che praticano vivisezione.
C’è chi sostiene che l’esportazione mascherata da finte adozioni nasconda altre situazioni atroci come il mercato di carni (cibo in scatola per cani e gatti), lotte clandestine, abusi sessuali e pratiche di sadismo.
I comuni italiani pagano la retta di mantenimento solo per gli animali catturati sul loro territorio ed è facile inventare il ritrovamento in zona quando in realtà sono portati dalle staffette.
Se l’obbligo della microcippatura venisse applicato, questo traffico sarebbe stroncato, indirizzando le risorse verso la sterilizzazione.
Il canile di Bolzano contiene trentacinque cani mentre al Sud le strutture arrivano ad averne anche duemila. In uno dei canili di Roma i volontari sono riusciti a farne adottare mille in un anno ma, l’anno successivo, i cani presenti sono tornati al numero originario di partenza.
La microcippatura obbligatoria, che consente di risalire al proprietario, e la sterilizzazione sembrano essere le uniche soluzioni per non vanificare l’operato dei volontari ed evitare che la vita dei cani si trasformi in una sofferta prigionia.
Il costo della sterilizzazione è basso, di sicuro minore rispetto alla tariffa chiesta dagli staffettisti: alcuni veterinari si sono offerti di effettuare l’operazione chiedendo in cambio solo il costo dei materiali, ma la loro proposta è stata rifiutata adducendo scuse burocratiche.
Le gare per la gestione dei canili, in cui girano molti finanziamenti pubblici, sono ambite da molti e spesso viziate da irregolarità poiché, in alcuni casi, si applica la procedura di affidamento diretto quando la legge 163/2006, il c.d. Codice dei contratti, lo vieta, prevedendo gare a rilevanza europea se l’importo dell’appalto supera i 200.000 euro.
Può anche succedere che i Comuni, invece di costruire canili, stipulino convenzioni con società private a cui l’animale interessa solo per la diaria giornaliera garantita: i controlli sono inesistenti e i cani vengono tenuti in condizioni di sovraffollamento, malnutriti, trascurati e con patologie che non vengono curate.
C’è un’ulteriore conseguenza allo spostamento di animali: la diffusione della Leishmaniosi. È una malattia infettiva cronica che provoca al cane danni progressivi, trasmessa dalla puntura di piccoli insetti, i pappataci.
Le zone litoranee del centro e del Sud sono a rischio maggiore ma, negli ultimi dieci anni, si è avuto un aumento dell’area di diffusione anche al Nord, sicuramente dovuta alle variazioni climatiche ma anche alla movimentazione degli animali.
In Italia gli interessi e l’ignoranza impediscono l’applicazione delle ottime normative esistenti che prevedono il canile solo come presidio temporaneo e luogo di transito.
Spesso si discute e si polemizza mentre sul campo gli animali soffrono ogni giorno, aiutati solo da volontari “autentici” che spendono tempo e denaro per soccorrere quelli che riescono.
Si può sconfiggere il randagismo solo applicando le leggi in maniera rigorosa ma con serve la collaborazione dei cittadini.
È molto facile concludere con una frase del Mahatma Gandhi: “La civiltà di un popolo si misura dal modo in cui tratta gli animali”.
Molto più difficile metterla in pratica.
Ma non impossibile.”
Articolo su CaffèBook di Paola Iotti
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