LA GATTA di Jun’ichirō Tanizaki 1936
Pubblicato nel 1936 questo breve romanzo di Jun’ichirō Tanizaki (24-07-1886 30-07-1965) (Candidato al Premio Nobel per la letteratura del 1964) porta il titolo originario di “Neko to Shōzō to futari no onna” (La gatta, Shōzō e le due donne).
Questo breve romanzo si svolge quasi tutto all’interno di una casa e all’interno di stretti rapporti familiari. I protagonisti umani sono quattro: Shōzō, anaffettivo e indolente proprietario trentenne di un negozio di casalinghi; sua madre O-Rin, che ancora lo domina e sorveglia; la prima moglie Shinako, rancorosa per essere stata ripudiata e sostituita; la nuova moglie Fukuko, volubile e isterica.
E poi c’è lei, la vera protagonista, Lily, viziata e splendida gatta tartarugata europea.
Il racconto si dipana tra vendette psicologiche e sottili seduzioni.
Shōzō è un debole, eterno bambinone e ha un rapporto unico con Lily, la adora, la coccola, si lascia graffiare e tormentare in ogni modo, le permette di dormire nel suo futon, si toglie dalla bocca i pesciolini cucinati dalla moglie per offrirli alla micia. L’idea di separarsi da lei gli è intollerabile, invece questo è quanto gli chiedono, con motivazioni diverse, tutt’e tre le donne della sua vita…come andrà a finire?
Shōzō “non aveva neanche l’ombra di un vero amico col quale confidarsi e si sentiva sempre solo, afflitto e insicuro.
Quel senso di solitudine era forse all’origine del suo profondo attaccamento nei confronti di Lily. Difatti aveva l’impressione che soltanto lei, con quegli occhi pieni di malinconia, fosse capace di indovinare i suoi pensieri tristi e consolarlo, mentre né Shinako né Funuko, e ancor meno sua madre, lo avevano mai capito.
Tra l’altro, era convinto di essere il solo in grado di cogliere quella peculiare tristezza animale che la gatta serbava dentro di sé senza aver modo di comunicarla agli esseri umani.”
Tanizaki è come sempre indagatore e sarcastico, mentre descrive negativamente i vizi e le contraddizioni dei suoi protagonisti, ha però solo elogi e belle parole poetiche per la gatta: filo conduttore delle loro vite, cuore pulsante del racconto.
Racconta addirittura la sua dieta alimentare, parla dei suoi odori.
E attraverso di lei che emerge un ritratto familiare molto particolare, a tratti dolce e a tratti crudele, che fa le fusa e graffia insieme.
Il testo è un assaggio dell’inventiva dello scrittore che offre una variante semplice sul tema della gelosia..
Il racconto, molto ben scritto, è incisivo e preciso sulle follie e le privazioni che vivremmo per il bene dei nostri amici animali. Se “tra moglie e marito non mettere il dito”, anche la zampa può causare dissapori!
Tanizaki, in questo romanzo, dimostra la sua incredibile capacità di osservare e portare alla luce i grovigli e le contraddizioni della psiche dei protagonisti e riesce a tratteggiare con una complicità affettuosa i comportamenti della gatta, sia nell’istinto felino naturale che la anima, sia negli atteggiamenti quasi umani che mostra nel corso della narrazione.
La descrizione del primo parto di Lily, per esempio, con a sua paura della sofferenza e le mute ma inequivocabili richieste di aiuto al padrone, è talmente vivida e vera (ho vissuto io stessa molti anni fa all’inizio della mia professione con Micia, persiana bianca, una situazione analoga) potrebbe benissimo far parte di un manuale di etologia felina.
Anche la rappresentazione delle moine sinuose con cui la micia tenta di sedurre le persone per ricavarne qualche profitto, in termini di cibo o di carezze, è assolutamente reale
Tanizaki dimostra la sua profonda conoscenza e il suo immenso amore per i gatti con l’attenzione e la cura con cui riesce a descrivere sia la fisicità sia la psicologia di Lily (per esempio la descrizione particolareggiata del manto tatuato e della routine dimostrano un attento spirito di osservazione).
Rivela anche la grande considerazione in cui la cultura giapponese ha tradizionalmente tenuto questi animali, per la loro particolare intelligenza e misteriosa sensibilità.
Geraldine Meyer scrisse:
“Jun’ichirō Tanizaki, tra i maggiori autori della letteratura moderna giapponese (e non solo), insignito del Premio Nobel nel 1964, in questo La gatta, Shōzō e le due donne, ci conduce, con grazie crudele, in alcuni dei suoi temi preferiti, come la figura femminile e l’ossessione. In quello che, apparentemente, è un libro di gaiezza, gelosia e amore per i gatti, si cela tutta la rigidità della morale giapponese, le dinamiche umane più contorte, l’umana, umanissima difficoltà a accettare l’Altro, difendendosi nell’immaginare cosa l’Altro senta.
La gatta, Shōzō e le due donne è, apparentemente, solo la storia di un triangolo, quadrilatero, amoroso tra Shōzō, la sua dorata gatta Lily, la prima moglie Shinako e la nuova moglie Fukuko. Shinako, dopo essere stata ripudiata da marito e dai calcoli della di lui madre, decide di introdurre un dubbio atroce nella nuova moglie di lui. Come? Inviandole una lettera, firmata con altro nome, in cui la mette in guardia da un pericolo enorme e inevitabile: presto o tardi l’amore di Shōzō per la sua gatta finirà con il mettere a repentaglio il loro matrimonio. Meglio, dunque, che la gatta, nonostante gli accordi, torni dalla prima moglie.
Un piccolo espediente narrativo è ciò che Tanizaki utilizza per scavare, con lucidità chirurgica, nelle dinamiche e nelle ossessioni dei personaggi. Lucidità chirurgica resa ancora più tagliente dalla leggerezza, e quasi levità, dei toni e delle immagini utilizzate. E, partendo da quella lettera, ci conduce, più che in un triangolo/quadrilatero amoroso, in un girotondo attorno alla gatta che diventa, sempre più, il catalizzatore di una vera e propria ossessione, tanto più erotica quanto più spostata su un piano apparentemente diverso. Una lettera che insinua un dubbio che è, anche e soprattutto, una fantasia di controllo, una conseguenza di atti e gesti messi in campo, da tutti, per una sorta di tornaconto.
La gatta Lily, amata, contesa, usata, diviene così uno specchio e una lente di ingrandimento attraverso cui, ciascuno dei personaggi, giudica l’altro, i suoi sentimenti, le sue azioni, le sue mancanze e debolezze. In mezzo a tutto questo, Shōzō uomo bambino incapace di prendere decisioni in autonomia, trova nella gatta, da cui è stato forzatamente separato, l’unico punto fermo della propria vita, l’unico essere di cui sia stato capace di prendersi cura, in un amore quasi autistico, per difendersi dal mondo.
E così, pagina dopo pagina, diviene chiaro come ciascuno rivolga l’attenzione agli altri e mai a sé stesso. Il punto, per tutti è fuori da sé e la gatta diventa quel punto, che si muove, che non si fa né prendere né comprendere, di cui è impossibile conoscere gli autentici sentimenti ma solo rappresentarseli. Ed ecco l’ossessione, la vera protagonista del libro, quella in cui e attorno a cui gira anche l’idea della donna, della femminilità che scivola verso l’immagine di una mamma più che di una madre.
Un libro che sembra lieve, quasi un soffio, eppure concentra in sé molti degli elementi della cultura e della psicologia giapponesi, molta crudeltà dietro leggeri tatami di convenienze sociali in cui la vergogna è il vero legame sociale. Solo per frammenti la gatta diviene il pretesto per, se non rimettere in discussione il proprio sentire, almeno un inizio di crepa nella costruzione dell’intera vita di ciascuno.
Come spesso accade nella letteratura giapponese, anche questo La gatta è soffuso di inquietanti meccanismi psicologici, dinamiche umane, familiari e sociali, narrati con quel sorriso accennato e l’inchino sussiegoso con cui ci immaginiamo i giapponesi quando ci salutano. Anche tra queste pagine funziona così, e gli occhi della gatta Lily ci sembrano lo sguardo distaccato e ironico con cui il mondo va avanti nonostante le nostre commedie e i nostri drammi.” Geraldine Meyer
Questo racconto mi è piaciuto molto, è anche scritto davvero bene e lo consiglio.
L’ho letto velocemente, al contrario di quanto era successo con Io sono un gatto di Natsume Sōseki, indipendentemente dalla lunghezza, merito della gradevolezza della narrazione.
Qui non c’è alcuna pesantezza, anzi una sorta di leggerezza pervade tutta l’opera, anche quando affronta temi e sentimenti intricati.
Ho notato alcune somiglianze con “La gatta” di Colette, scritto pochi anni prima.
Senz’altro tutti gli amanti dei gatti lo apprezzeranno, e identificheranno i propri mici in Lily, riconoscendosi in molte situazioni descritte.
Vicla Sgaravatti
Medico Veterinario
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