GIORGIO DE CHIRICO E L’ AMORE PER I CANI
Nell’anniversario della nascita di Giorgio de Chirico (Volo, 10 luglio 1888 – Roma, 20 novembre 1978), riporto parte dell’interessante scritto di Lorenzo Canova, “Anzitutto gli animali Giorgio de Chirico e l’amore per i cani tra vita e arte“
Giorgio de Chirico grande artista riconosciuto come precursore e innovatore dell’arte, ebbe anche un ruolo di importante pioniere dei movimenti animalisti e della difesa degli animali in modo attivo.
Giorgio de Chirico, poco prima del 1960 aveva scritto, con lo pseudonimo di Isabella Far (dal nome della moglie), come aveva già fatto in passato, un lungo discorso in difesa dei cani che venne letto da Nilla Pizzi a una conferenza:
“La protezione degli animali è, prima di tutto, una espressione di civiltà. Più un Paese è civile e più si manifesta in esso, spontaneamente e naturalmente, il senso del dovere che incombe all’uomo e, per l’appunto, all’uomo civile, di proteggere e difendere i deboli.
Nella categoria dei deboli stanno anzitutto gli animali, che sono esseri dipendenti esclusivamente dalla volontà dell’uomo. Questo non bisogna dimenticare. La protezione dei deboli non è soltanto una prova di bontà, ma ancora più una prova di educazione morale”. “Quelli che oggi in Italia si occupano della protezione degli animali si trovano purtroppo ancora nella situazione di pionieri”, continuava ancora de Chirico, protettore di tutti gli animali, ma innamorato dei cani in particolare, al punto di avere un ruolo importante nella “Lega della difesa del cane” con cui ha progettato un Villaggio del Cane, ha sostenuto rifugi dove i cani venivano salvati per poi essere adottati e ha mantenuto una vera e propria colonia canina nella sua villa romana di via Misurina, dove ospitava e manteneva amorevolmente più di venti cani, come documentano anche delle belle foto insieme a sua moglie Isabella.
“Non dimentichiamo che il cane, soprattutto all’estero, è un essere importante strettamente collegato alla vita dell’uomo di cui è l’amico ed è trattato come tale”.
L’amore di de Chirico per i cani nasce con ogni probabilità nella sua infanzia, grazie anche all’educazione del padre Evaristo, che nelle sue Memorie il pittore ricorda come amante degli animali: “era ingegnere ed era anche un gentiluomo d’altri tempi; coraggioso, leale, lavoratore, intelligente e buono […] aveva diverse capacità e virtù: era bravissimo come ingegnere, aveva una bellissima scrittura, disegnava, aveva molto orecchio per la musica, era osservatore ed ironista, odiava l’ingiustizia, amava gli animali, trattava altezzosamente i ricchi ed i potenti, ed era sempre pronto a difendere e ad aiutare i più deboli ed i più poveri”
In questo ricordo paterno ritorna l’associazione tra la difesa dei deboli e l’amore per gli animali, una virtù che, nella sua vita l’artista ha cercato sempre di rinnovare attivamente.
La passione di de Chirico per gli animali è legata dunque al suo amato e sempre rimpianto padre e nella sua infanzia si colloca il momento toccante delle sue Memorie in cui il pittore ricorda il cane della sua infanzia, poi tristemente ucciso per una leggerezza dei domestici della sua famiglia:
“Con noi avevamo portato da Volos un cane bastardo; un povero cane che venne a rifugiarsi in casa nostra durante il periodo della guerra turco-greca. In origine questo cane si chiamava Leone ma poi gli si mise il soprannome di Trollolò, che gli rimase. Era di una bontà e di una intelligenza straordinarie ed anche ora, dopo tanti anni, quando penso a Trollolò, mi sento commosso ed un soffio di tristezza passa nel mio animo. Gli volevamo tutti molto bene, ma colui che gli voleva bene più di tutti, ero io, perché, anche allora, come oggi, ero io il più buono ed il più intelligente di tutti. Durante la lunga e penosa malattia di mio padre, talvolta, a notte alta, Trollolò andava sopra una grande terrazza che stava a fianco della nostra casa e ad essa era collegata mediante una specie di lungo balcone. Là Trollolò ululava lungamente col muso alzato verso l’immenso cielo attico, grondante di stelle. Mia madre era molto impressionata da quegli ululati, ma però quei lamenti non presagivano la morte di mio padre; erano soltanto lo sfogo dell’anima addolorata del povero Trollolò che soffriva, perché soffriva il suo padrone”.
Non stupisce a questo punto come la perdita dolorosa di Trollolò, dopo molti anni, sia stata ricordata con molta tristezza da de Chirico: “Durante l’ultimo nostro soggiorno a Kefissia ebbi un grande dolore; il nostro cane, il nostro buon Trollolò, che avevamo lasciato ad Atene in casa, con i domestici, era sparito. Di solito lo prendevamo sempre con noi in campagna, all’albergo, ma, quella volta, non so perché, lo si lasciò in città. Girando fuori di casa era stato raccolto dall’accalappiacani e poi ucciso; e quegli ignobili domestici, sul capo dei quali invocai la maledizione divina, non fecero nulla per salvarlo. Quando tornammo dalla villeggiatura ed io non trovai Trollolò, fui preso da un grande dolore e da una grande disperazione e passai una notte insonne piangendo e pensando a quella cara bestiola”.
Come se avesse voluto riparare a quella perdita, de Chirico per tutta la vita ha salvato e accudito cani (ma anche gatti), come sappiamo anche da una testimonianza di Enrico Emanuelli (1941) sui disegni per l’Apocalisse del pittore: “È il drago dell’Apocalisse, è una visione dell’angelo sull’acqua con due alte fiamme per gambe, eppure de Chirico ne parla con l’uguale voce di poco prima, quando diceva di un suo gatto e di un suo cane, entrambi trovati per strada a Firenze e a Milano, curati, salvati e amati”.
Il cane e il gatto dovevano peraltro essere gli stessi ricordati nelle sue Memorie e salvati da Isabella durante il bombardamento di Milano nel 1942: “Per le scale incontrai Isabella mentre con il nostro cane e il nostro gatto scendeva in cantina”.
Negli archivi della Fondazione de Chirico sono conservati documenti relativi a pagamenti per canili e per cure veterinarie che dimostrano come questa attenzione non sia mai venuta meno nel corso della vita del pittore. Nella già citata conferenza, de Chirico, parla con chiarezza e partecipazione della triste situazione dei cani abbandonati e della tassa che costringeva persone anziane e sole a doversi privare dell’unico amico rimasto a far loro compagnia:
“I cani, questi animali tanto intelligenti e fedeli, si trovano spesso nell’angosciosa situazione di cani abbandonati, che devono errare, famelici e spauriti e predestinati, se non interviene una persona caritatevole che li adotta, predestinati, dico, a finire al canile municipale ove vengono soppressi dopo alcuni giorni. Quelli che non sono nella ‘Lega della difesa del cane’ ignorano quante persone vecchie, rimaste sole nella vita e per le quali il loro cane è l’unico amico, vivono nel terrore di perderlo e tremano all’idea di vederlo portare al canile municipale. E là, al canile municipale, si assiste talvolta a spettacoli pochissimo edificanti, vedendo donne e uomini anziani che contano con angoscia i pochi denari che hanno in tasca, temendo che non bastino per il riscatto del loro cane. Perché un piccolo cane bastardo, posseduto da una persona povera diventa agli occhi del Fisco un oggetto di lusso, è un mistero che non riesco a chiarire. È evidente pertanto che sia necessario riesaminare la questione delle tasse sui cani onde evitare inutili crudeltà e situazioni penose che potrebbero essere facilmente evitati”.
Queste parole di de Chirico, che ricordano anche le drammatiche scene del film Umberto D., capolavoro di Vittorio De Sica, rivelano così tutta la sensibilità di un uomo che, dietro le sue tante maschere, mostra sempre una sensibilità e un’attenzione per i “deboli” eccezionali, come eccezionali sono state la sua pittura e la sua scrittura, un tassello che si aggiunge per comprendere e conoscere pienamente la sua complessità di uomo e di artista.
Lorenzo Canova
(fondazionedechirico.org)
Vicla Sgaravatti
Medico Veterinario
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