GATTI IN “PRIGIONE”

Foto di Cristobal Olivares – The New York Times

Jack Nicas in un articolo per il New York Times racconta questo fatto insolito.

La Penitenciaría di Santiago fu edificata nel 1843, è la più grande prigione del Cile ed è conosciuta come “Peni”.
Ci vivono circa 5.600 detenuti, decisamente troppi per la struttura: nelle aree più affollate nella stessa cella vengono ospitate anche dieci persone con condizioni igieniche sono molto scarse.
C’è però un fatto particolare che viene considerato molto positivo: la presenza di centinaia di gatti.
I gatti sono più di trecento e la loro presenza aiuta la convivenza a ha migliorato la vita dei detenuti all’interno del carcere.

Nei programmi di riabilitazione dei detenuti, la presenza di animali nelle prigioni è una pratica abbastanza comune.
La loro presenza nelle celle è però più rara, di solito, si tratta di pochi animali di proprietà di specifici detenuti, ed è un caso insolito.

Riguardo la provenienza di questi gatti c’è chi pensa che si tratti di randagi arrivati spontaneamente nel penitenziario, altri invece ritengono che i primi furono portati per dare la caccia ai topi.
Durante molti anni questi gatti hanno vissuto separati dalle persone e si sono riprodotti diventando diverse centinaia.

I detenuti a un certo punto hanno iniziato a considerarli e ad accudirli.: in modo informale li hanno adottati, hanno attribuito loro dei nomi, arrivando a condividere cibo e letto e creando delle cucce per loro.
Fino a circa dieci anni anni fa la popolazione felina si stava riproducendo in modo incontrollato, i gatti si ammalavano molto spesso, gettando nello sconforto i carcerati che li accudivano, soprattutto quando si accorgevano che erano colpiti da un’infezione contagiosa che rendeva alcuni animali ciechi.
Questa situazione stressava i detenuti che temevano anche che i loro amati gatti potessero morire.

Fu così che nel 2016 il Penitenziario stipulò un accordo con un’associazione di volontari, Fundación Felinnos, che da quel momento si sarebbe occupata di raccogliere tutti i gatti per curarli, sterilizzarli e castrarli.

I detenuti hanno contribuito al successo del programma, portando loro i gatti che stavano male ai volontari e chiedendo informazioni su come poter accudire i cuccioli.
Un uomo che sta scontando una pena di otto anni per possesso di armi, ha raccontato al New York Times di aver accudito molti gattini nella sua cella, somministrando latte specifico a una cucciolata rimasta orfana dopo che la madre era morta durante il parto.

Il clima della prigione ha avuto effetti positiva da questa presenza dei gatti.
La direttrice Helen Leal González ha detto al New York Times che la loro presenza «ha cambiato l’umore dei detenuti, ha migliorato il loro comportamento e ha rafforzatoil loro senso di responsabilità, in particolare nella cura degli animali».
La prigione è un luogo ostile dove le condizioni di vita sono pessime, cosa che contribuisce a creare dissidi fra i detenuti. Invece, «quando si vede un animale che dà affetto e genera sentimenti positivi, logicamente si verifica un cambiamento di comportamento e di mentalità» da parte di chi si occupa di loro» .
Un altro detenuto che sta scontando quattordici anni per furto, ha dichiarato che per molti di loro questa è la prima volta che si prendono cura di qualcuno o di qualcosa: «un gatto ti costringe a preoccuparti per lui, a dargli da mangiare, a dargli attenzioni speciali. Quando eravamo fuori e liberi, non lo facevamo mai. L’abbiamo scoperto qui».

Succede che tutti i detenuti di una cella adottino alcuni mici e che questo stimoli la collaborazione reciproca.
Vari carcerati hanno pure raccontato di come questi felini abbiano dato (e diano) loro conforto nei momenti più difficili e duri.

A detta dei volontari, all’inizio del programma i gatti erano più di quattrocento, cifra che non includeva i micetti, invece adesso sono circa trecento e sono in costante diminuzione poiché quando un detenuto finisce di scontare la sua pena ed esce, molto spesso si porta con sé il gatto di cui si era preso cura durante la reclusione.

In passato esisteva la convivenza nelle carceri con animali vari, soprattutto con cani, ma questa non era quasi mai organizzata.
È stato negli anni Settanta che, con gli USA in prima linea, vari programmi di riabilitazione hanno iniziato a diffondersi, mediante la cura e l’addestramento di animali.

Son vari gli studi che hanno provato che questa relazione porta a risultati positivi.
Una ricercatrice ha esposto come programmi svolti in carceri di diversi stati hanno provato che il rapporto fra detenuti e cani contribuiva a «una diminuzione della recidiva, un miglioramento dell’empatia, un miglioramento delle abilità sociali e un rapporto più sicuro e positivo tra i detenuti e gli agenti penitenziari».
Questi programmi sono molto usati negli Stati Uniti ai giorni nostri: in Arizona, si addestrano cavalli selvaggi per pattugliare il confine con il Messico; in un paio di Stati addestrano cani per non vedenti e non udenti; in un altro ancora i detenuti aiutano a curare animali selvatici feriti o malati, come coyote, falchi e procioni, e altre iniziative ancora…

Anche in Italia esistono programmi simili: al carcere di Bollate, a Milano, prima che il progetto venisse interrotto, alcuni detenuti imparavano a gestire una scuderia e a prendersi cura dei cavalli; si trattava di riabilitazione assistita con il cavallo, gli animali della scuderia arrivavano tutti da situazioni difficili, come sequestri o maltrattamenti, e veniva offerta una seconda opportunità sia a loro e che ai detenuti.
Con il programma “Cani dentro e fuori”, organizzato dal Dipartimento veterinario dell’Università Statale di Milano, si preparano le persone recluse a diventare dog sitter professionisti e nel contempo si educano i cani randagi per l’adottabilità.

Per saperne di più su quanto succede in Italia, al link trovate gli Atti di un convegno tenutosi a Padova sull’argomento. https://www.izsvenezie.it/documenti/formazione/corsi-convegni/2019/2019-10-04-carceri-animali/atti-convegno.pdf

(AP Photo/Felipe Dana)

Vicla Sgaravatti

Medico Veterinario

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